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Trento, 5 gennaio 2007
MARCO BOATO:«SU WELBY IL VICARIATO HA BESTEMMIATO DIO»
Il deputato racconta il travaglio per il rifiuto di funerali religiosi deciso dalla Chiesa
Intervista a Marco Boato
de l’Adige di venerdì 5 gennaio 2007
Vive con la moglie circondato da migliaia di libri. Volumi accatastati ovunque che, però, non danno una sensazione di disordine. Mentre li sfoglia Marco Boato sembra felice, anche se in questi giorni ha vissuto più di una delusione.
Onorevole Boato, al tempo della contestazione lei diceva che non lottavate per trovare un posto nella società, ma per una società in cui vale la pena trovare un posto. Quella società l’ha trovata?
Era una bellissima espressione non mia, ma del movimento tedesco, che esprimeva la logica di contestazione di quegli anni. È una frase che dà il senso di chi comunque, dentro una società, non si adatta, non accetta passivamente i modelli di comportamento. Il significato profondo di quella frase lo sento mio ancora oggi. Ovviamente, la radicalità antagonista che c’era in quella frase non può essere più mia perché sarei ipocrita. Sento ancora la tensione al cambiamento, la non accettazione dei modelli dominanti. Penso che i guasti profondi della società in questi anni non sono causati dal fatto che gli esponenti della Casa della libertà sono andati troppo nei telegiornali, ma i modelli negativi sono passati attraverso le trasmissioni normali, sia in Rai che a Mediaset. Il degrado culturale e di valori passa nel profondo. Io, che pure sono inserito nella società, mi ribello a questa cosa.
Lei fa più parte della classe dirigente.
Sì, ma elettiva. Non è che dirigo un’industria, faccio il rappresentante del popolo. Per sei volte mi sono conquistato l’elezione partendo letteralmente da zero. La prima volta sono state eletto come indipendente nei Radicali facendo campagna con i volantini, la seconda volta a Trento strappammo alla Dc un collegio che era storicamente suo. Poi sono stato eletto a Rovereto in un collegio che era dato per perso. Non ho mai avuto un posto sicuro e non l’ho mai chiesto.
È vero che per lei sarà l’ultima legislatura in Parlamento?
Sì. Anche se, ripeto, ho conquistato ogni elezione sul campo. In regione sono forse l’unico che è entrato e uscito dal Parlamento, che non è facile. Sono uscito nell’83 e sono rientrato nell’87. Nel ’94 i Progressisti non mi candidarono perché mi consideravano troppo garantista e sono tornato tranquillamente al mio lavoro all’università. Poi, quando è nato l’Ulivo noi siamo stati soci fondatori, sono rientrato nel ’96, ma in un collegio che era della Casa delle libertà.
Molti dicono che lei è il miglior alleato di Berlusconi nel centrosinistra.
Qualcuno lo dice, ma la trovo un’idiozia assoluta. Io sono sempre stato considerato troppo garantista. Ma o sì è garantisti o non lo si è. Lo si può essere con i propri amici, penso ad Adriano Sofri, ma per essere credibili lo si deve essere anche con gli avversari. Garantista non vuol dire innocentista, ma esigere le garanzie dello stato di diritto.
Però Berlusconi ha cercato di piegare le norme a sua difesa.
Sì, ma quando lo ha fatto ha trovato in me un feroce avversario. Io sono sempre intervenuto in Parlamento contro le leggi ad personam. Il fatto è che ci sono alcuni che, da sempre, non mi amano. È la ragione per cui i Progressisti non mi candidarono nel ’94. Io tornai ai mio lavoro, non cercai posti di sottogoverno. Il risultato di questa logica fu un 6 a 0 a favore del Polo delle libertà in Trentino.
Qualcun altro sostiene che lei nutre un odio profondo nei confronti dei Ds e, prima, del Pci.
Questi sono vecchi livori in cui non mi riconosco. Per due legislature, io ho fatto il deputato dell’Ulivo ottenendo i voti di tutto il centrosinistra. Io non accetto, in tutti i partiti compresi i Verdi, il massimalismo, il giustizialismo e l’ideologismo. Avendo vissuto eccessi di ideologismo negli anni ’60, mi sono vaccinato.
Si è mai pentito di qualche eccesso di quel periodo?
No. Pentito è una parola che aborro. Il pentimento ha un grande valore sul piano religioso ed ecclesiale, e io sono un credente. Sul piano politico la trovo una cosa da inquisizione. Non ho nulla di cui mi sia sentito di pentirmi della mia vita giovanile. Mentre c’è molto su cui pensare criticamente. I valori di riferimento non sono cambiati. L’estremizzazione ideologica è stato un errore, ma non è una cosa di cui pentirsi. Era come una rottura della faglia. C’era un mondo che tramontava e uno che nasceva e nella faglia c’è stato il terremoto politico, sociale, religioso, esistenziale.
C’è chi dice che voi contestatori poi avete fatto carriera nella società che attaccavate.
Se devo far riferimento a persone a me carissime: uno è Adriano Sofri che è tuttora condannato, ingiustamente, ed è fuori dal carcere solo per ragioni mediche, un altro è Mauro Rostagno che il 26 settembre del 1988 è stato assassinato e, addirittura, si è arrivati all’infamia di negare che fosse stato ucciso dalla mafia, il terzo è Alexander Langer che, in una situazione di disperazione, è arrivato a suicidarsi il 3 luglio 1995. Queste sono le tre persone con le quali io ho avuto i rapporti più stretti nel ’68, e anche dopo, e non mi sembra che abbiano fatto grandi carriere. Detto questo si possono citare famosi giornalisti di Mediaset o altri che hanno cambiato i propri valori fondamentali.
Non ha mai pensato di lottare contro i mulini a vento?
A volte un senso di sconforto c’è. Ho vissuto con grande difficoltà quest’ultimo periodo. Negli ultimi cinque anni ho profuso impegno fino all’estenuazione fisica nella battaglia di opposizione che è stata durissima. La quantità di lavoro che io ho fatto negli ultimi cinque anni credo che non abbia uguali nella storia del Parlamento. Però, ho vissuto con disagio il fatto che la vittoria, sia pur risicata del centrosinistra, non abbia comportato un cambiamento così forte e visibile come io avrei sperato. La sensazione di essere vox clamantis in deserto ce l’ho. Per fortuna ho una forza interiore che mi ha sempre accompagnato. Ho vissuto in modo drammatico la rottura interiore della speranza del mio amico Alex Langer. Questo è un rischio che corrono tutti coloro che si impegnano senza risparmiare energia nella vita politica e sociale. Però ci sono momenti, sul piano politico e anche ecclesiale, da far paura. Recentemente ho vissuto una sensazione di profondo sconforto per la vicenda Welby. La negazione del funerale religioso a Welby l’ho sentita come una bestemmia, e lo dico da credente.
Una bestemmia della Chiesa?
Una bestemmia del Vicariato di Roma. Non voglio dire Chiesa perché la Chiesa è anche il parroco di Pergine. Io ho trovato quel comunicato del Vicariato una bestemmia di Dio. È stato bestemmiato Dio. Se Dio è amore, è stato fatto qualcosa che nega l’esistenza di Dio. Non è che, per questo, io dico non metterò più piede in Chiesa. Sento, però, un disagio spaventoso. Ho provato sofferenza atroce.
Secondo lei, aiutare a morire un uomo come Welby è un atto d’amore?
Lasciarlo morire, non farlo morire. Sono sempre stato contrario alla cosiddetta eutanasia attiva, a far morire una persona, mentre sono assolutamente favorevole a interrompere l’accanimento terapeutico. C’è scritto nella nostra Costituzione. Il secondo comma dell’articolo 32 è chiarissimo. Quello che ha chiesto Welby non è stato altro che il rispetto della Carta fondamentale.
Lei, come credente, non si sente a disagio quando la Chiesa non tiene conto della Costituzione?
Per quanto riguarda la Chiesa, sono tutte valutazioni non di carattere dogmatico, ma espressioni di una riflessione che, a volte, porta la Chiesa ufficiale a riconoscere con ritardo l’elaborazione di settori ristretti. Adesso, spero, si beatificherà Rosmini. Quando ero ragazzo, per leggere le "Cinque piaghe della santa Chiesa" di Rosmini dovevo chiedere l’autorizzazione perché era nell’indice dei libri proibiti. Forse si arriverà alla beatificazione di don Lorenzo Milani, ma quando era in vita era tenuto ai margini e considerato uno scandalo vivente.
Non le sembra che siamo di fronte a un paradosso: più la società si secolarizza più la Chiesa riesce a influire sul processo legislativo?
È una riflessione che ho fatto anch’io. Penso che la legge sul divorzio verrebbe approvata anche oggi. Ho l’impressione che la legge sull’aborto avrebbe enormi difficoltà a essere approvata. Questo perché la fine, sacrosanta, dell’unità politica dei cattolici ha portato, in una prima fase, a una maggiore laicità e a un maggiore pluralismo. In una fase successiva, di cui è stato protagonista, nel bene e nel male, il cardinale Camillo Ruini, c’è stato, da parte di alcune gerarchie ecclesiastiche, un condizionamento del mondo politico assai più del passato. Penso che ci sia una regressione in alcuni settori del mondo cattolico rispetto ai livelli di consapevolezza, negli anni successivi. Poche settimane fa abbiamo avuto a Verona un convegno ecclesiale all’insegna della speranza e, poi, la vicenda Welby è stata la negazione della speranza. In altri tempi ci sarebbe stata una ribellione morale nel mondo cattolico di cui ora, invece, ho visto scarse tracce. Ho visto un timore, quasi una paura di pronunciarsi da parte anche dei politici che temono di perdere voti. Come se ci fosse un mondo cattolico meno adulto e meno maturo di un tempo.
Pensa che ci sia il pericolo di un’interposizione della Chiesa nel riconoscimento di diritti, come quello di avere figli ricorrendo all’inseminazione artificiale o come quello reversibilità della pensione per i conviventi more uxorio?
Credo che tutto questo sia derivato da un ritorno a concezioni neoconstantiniane, cioè all’idea che sulle strutture dello Stato si debbano proiettare valori e principi religiosi. Ci sono state elaborazioni teologiche e filosofiche, di Jacques Maritain, Emanuel Mounier e di molti altri, che hanno nettamente distinto l’ambito ecclesiale dall’ambito delle realtà terrene. Ora, su questi temi, c’è stata una vera e propria regressione, con tentativi ricorrenti di riportare a un rapporto integralistico tra la dimensione religiosa e quella politica. A mio parere è un errore la pretesa di inserire nella Costituzione europea il riferimento alla tradizione giudaico-cristiana perché il Vangelo è un messaggio universale. Io sono contrario alla pretesa di imporre per legge valori religiosi sul terreno della laicità dello stato di diritto. Ho la sensazione che la religione per molti stia tornando a essere un instrumentum regni. Considero che sia blasfemo usare la religione per ragioni politiche. C’è chi considera l’essere cristiani come un’identità culturale e politica che viene data sulla testa agli altri.
Lei è il primo firmatario di un progetto di legge che prevede la parità per le religioni. Non è in contraddizione con la sua condizione di credente?
Non c’è nessuna contraddizione.
Ruini potrebbe pensare il contrario.
Non credo. È una legge di attuazione di principi costituzionali. La cosa scandalosa è che oggi, nel 2007, è ancora in vigore la legge fascista sui culti ammessi. Intanto la libertà religiosa è anche la libertà di non credere.
Parlando di politica locale, l’alleanza con la Margherita non comporta la rinuncia a valori fondamentali dei Verdi?
Io ho proposto la riconferma di Dellai, ma ho anche sostenuto che ci sono alcuni aspetti del nostro recente passato che devono cambiare profondamente. Sono gli aspetti esplosi malamente in questi giorni. Non si abbandonano le giunte. Io non penso che la Margherita sia un comitato d’affari. Penso che ci siano problemi seri di eccesso di concentrazione di potere che vanno affrontati subito. Però credo che o torniamo alla logica del vecchio proporzionale in cui ognuno sollevava la propria bandierina oppure dobbiamo tener conto che se si vuole governare bisogna far parte di una coalizione e aver senso di corresponsabilità di governo. Il mio impegno è stato quello di continuare a far vivere valori fondamentali e far emergere una cultura ecologista in un mondo politico trentino che ne è fortemente refrattario.
Voi siete alleati di questi politici.
Sì, ma se il Trentino fosse governato dal centrodestra sarebbe infinitamente peggio.
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MARCO BOATO
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